skip to Main Content

Arte, architettura e design: Luca Gnizio

Luca Gnizio nasce nel 1981 a Lodi. Cresciuto come come sviluppatore di prototipi per aziende di interior design, si dedica poi allo sviluppo di progetti di packaging, interior e industrial design per studi e aziende. Ma è nel 2007 che trasforma la sua vocazione artistica in un progetto di rinnovazione creativa e reattiva d’eco internazionale, il risultato della sua inclinazione all’arte sostenibile attraverso una logica inversa: recuperare i materiali di scarto e trasformarli in mezzi comunicanti, in opere di design etico-sociale capaci di creare connessioni e riflessioni sul mondo e sull’ambiente.

La consapevolezza ambientale è sempre più diffusa e le aziende di tutti i settori produttivi, compreso naturalmente il lapideo, stanno investendo nel cercare soluzioni sostenibili al fine di ridurre l’impatto sulla Terra dei loro prodotti e dei loro processi produttivi. Oggi il genere umano possiede i mezzi tecnologici e la competenza per evitare l’ulteriore aggravamento dell’inquinamento, a tutti i livelli. L’umano desiderio di progredire, ciascuna tappa della scalata alla conoscenza e pure tutte le conquiste della moderna tecnologia, tutto ciò ci ha fornito gli strumenti per vincere questa battaglia. In questa grande e difficile sfida, il ruolo dell’eco-designer è di fondamentale importanza, nella sua capacità di dare vita a progetti che che riducano l’utilizzo di risorse naturali non rinnovabili, minimizzino gli sprechi e l’inquinamento e favoriscano l’uso di materiali riciclabili e a basso impatto ambientale.
Siamo andati a trovare dunque Luca Gnizio, affermato professionista che nel passato ha collaborato anche con il nostro consorzio per il progetto “Sinergie”, iniziativa che vedeva il riuso dei residui di lavorazione in complementi di arredo e allestimento urbano.

Quale è la tua formazione professionale e perché ti sei avvicinato al design?

Se guardo indietro al mio passato, vedo tanto studio, tanto lavoro, un pizzico di incoscienza e tanta tanta passione. Sono stato uno studente innamorato della figura, probabilmente anche grazie al mio professore del liceo: sognavo di fare il pittore. Successivamente la vita mi ha avvicinato al design ho scoperto la soddisfazione di inventare soluzioni sempre nuove e ho scelto un percorso di studi basato sul disegno industriale. Nei primi anni di università venivo spesso criticato perché guardavo prima al bello e poi alla funzionalità di un oggetto. Lo stesso è accaduto nell’azienda dove ho lavorato come primo impiego: alcune regole non scritte diventavano per me lacci troppo stretti. E’ cosi che ho deciso di lasciare il lavoro da dipendente e buttarmi cure e anima in un’attività che stata, ed è, complicata, ma davvero entusiasmante.

Luca Gnizio, ecosocial-artist: tre concetti in questa definizione.

Si tre concetti e una definizione che è cardine del mio lavoro ma frutto di un’intuizione dovuta, come spesso accade alla necessità. Ho iniziato con l’autoproduzione: i materiali più economici erano gli scarti delle aziende. Ma presto capii che il mio studio poteva diventare un “servizio” per le aziende stesse che potevano tradurre gli scarti in opportunità economica e di design. Il coinvolgimento delle realtà del sociale e delle associazioni è venuto in un secondo momento ma è stato quello ha creato legami con la comunità che di volta in volta viene coinvolta. La definizione è venuta di conseguenza.

Sempre più attenzione all’ambiente e alla ecosostenibilità: cosa succede alla figura professionale del designer?

Il 90% degli scarti presenti sulla terra sono la conseguenza di una progettazione errata sin dall’inizio: errore di progettazione ma anche, purtroppo, totale volontà di non pensare alle conseguenze. La figura del designer è totalmente cambiata, il suo processo progettuale non può più non tenere conto di un mondo che non sarà mai più come prima.

Sostieni che “gli scarti della produzione sono le vere risorse del nostro tempo”: spiegaci come possono esserlo.
Osservando la perfezione della circolarità nella natura è facile comprendere come ogni cosa sia creata per originare una nuova vita. Allo stesso modo i nostri scarti possono diventare risorsa: non a caso nella filosofia Zero Waste, i rifiuti riciclati sono chiamati materie prime seconde. Ovvio gli scarti industriali non possono generare germogli ma possono essere riadoperati in chiave intelligente. Nel mio caso, spero, anche bella. Il riuso non è più una scelta: è la chiave del futuro della Terra.

In che modo il design può contribuire alla tutela dell’ambiente?

L’artista opera nel mondo in cui è immerso, un mondo che vede e che racconta. Un mondo oggi in sofferenza per lo sfruttamento al quale lo abbiamo sottoposto. L’artista non può chiudere gli occhi davanti a questa realtà: per questo i materiali di recupero, sono e devono essere opportunità economica di coinvolgimento sociale e anche, bellezza. Che poi è l’arte allo stato puro.

Qualche anno fa, con la collaborazione di TENAX, avevi curato un progetto sul riutilizzo della marmettola applicata al design, con tanto di mostra in Piazza Duomo a Pietrasanta: oggi, alla luce delle gravi difficoltà sullo smaltimento dei residui di lavorazione del lapideo, questo tema proprio del mondo del marmo, torna di urgentissima attualità.
Verissimo, il problema degli scarti lapidei è sempre più urgente. La mia mostra in piazza duomo a Pietrasanta ottenne un risultato eccezionale: per la prima volta più di 80 aziende si sono “abbracciate” nella volontà di trovare una soluzione di smaltimento della marmettola. Fu anche emozionante scoprire come anche le associazioni sociali riuscissero ad avere la possibilità di essere “artisti in piazza” e dimostrare così la loro creatività in uno dei palchi più importanti d’Italia quale è Pietrasanta.

Hai lavorato per grandi marchi come Bmw, Levi’s, Maserati: raccontaci brevemente questi progetti.

Per Levi’s ho coinvolto più di 300 negozi da tutta Italia, per Maserati ho riciclato una catena produttiva di un’auto, per Bmw ho riciclato ed anche creato due nuovi brevetti: Forblacklight, un tessuto che è stato selezionato da Adi Desing Index 2019 e con il quale mi sono aggiudicato il premio delle eccellenze della Lombardia, e Forsoul, cristallo con fibra di carbonio riciclata, oggi in esposizione permanente nel museo del vetro di Murano, proprio per la sua innovazione e novità che ha portato nel mondo del vetro. La cosa importante è che interfacciandomi con queste grandi multinazionali ho sempre e soltanto detto, mostratemi i vostri scarti e l’obiettivo che vorreste raggiungere: questo mi ha permesso di dimostrare come riciclare non significhi accorpare materiali insieme, ma studiare intensamente per non ripetersi mai e per trasformare lo scarto anche in innovazione, tecnologica e prodotti sofisticati.

Oltre alla pietra naturale, su quali altri materiali si focalizza il tuo percorso sperimentale sugli scarti di lavorazione?

La mia attenzione riguarda tutto quello che per l’azienda è scarto: questo mi ha aiutato a non chiudermi mai in schemi preconfezionati ma a pensare sempre in maniera originale. Ogni volta si tratta di materiali diversi di mondi aziendali e culture diverse: la diversità è la bellezza e la gioia del mio lavoro.

Altre notizie

Vuoi ulteriori informazioni sul progetto Ve-Nature e sulle diverse fasi che lo compongono?

Compila il form di contatto, ti risponderemo in maniera rapida ed esaustiva.


    Back To Top