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Marco Casamonti: Architettura, terra di mezzo tra lapis e pietra

MARCO CASAMONTI
Architettura, terra di mezzo tra lapis e pietra

Intervista a cura di Claudia Aliperto

Esiste un legame molto forte che mette in connessione gli architetti alle Alpi Apuane, un legame che viene dal Rinascimento, da secoli passati ed è la ricerca nel trasformare la materia in materiale da costruzione, quindi in architettura ed opere d’arte”. Una ricerca che proviene da lontano, da quello stesso Michelangelo le cui vicende sul territorio versiliese sono ormai note. Marco Casamonti ha le idee ben chiare sull’universo dell’architettura e del design profondamente connesso con la tradizione della pietra naturale. “Il mio professore universitario Adolfo Natalini sosteneva che l’architettura è un lapsus tra lapis e lapide, cioè tra la pietra e la matita, ovvero ciò che sta in mezzo. È una definizione che appartiene a trent’anni fa; oggi si progetta meno con il lapis naturalmente però era un modo per spiegare che l’architettura è un medium che trasforma la materia. Basterebbe ricordare la storia di Michelangelo, anche troppo romanzata. L’artista si recava sulle montagne di Seravezza per cercare il marmo per la facciata di San Lorenzo. In una lettera indirizzata a Leone X si lamentava del

la sofferenza e del duro lavoro di cava, chiedendo di impiegare quei marmi per la pavimentazione della Cattedrale, perchè cavare il marmo è un’attività molto faticosa e difficile che richiede inoltre una maestria straordinaria. Per un architetto tutto ciò significa utilizzare i materiali lapidei con grano salis, ovvero con grande attenzione nel rispetto dell’ambiente. Ed è vero che questo materiale viene estratto dalle montagne ma è anche vero che ne costruiamo di nuove; è un materiale che non va disperso”.
Realizziamo l’intervista nel tragitto in macchina tra Firenze e Lucca.

La domanda è d’obbligo, viaggia sempre a questi ritmi?

“Nella vita svolgo tre mestieri, il docente universitario perché credo che si debba avere il compito di trasmettere agli altri ciò che si studia. L’architetto perché praticare la professione permette a sua volta di insegnare. Infine, il direttore di una rivista di architettura. Sono tre mestieri ma che in realtà sono uno solo e appartengono ad una tradizione italiana unica che ha a che fare con personaggi straordinari come Giò Ponti o Ernesto Nathan Rogers”.

Partiamo dalla congiuntura attuale. Quali sono le prospettive dell’applicazione della pietra naturale in architettura e design vista la concorrenza sempre più spietata dei materiali sintetici?

“Dobbiamo pensare che quella della copia dei materiali naturali sia una parentesi, ogni materiale deve esprimere le proprie potenzialità e possiede una sua anima. Siamo in una fase di passaggio di un processo. Inoltre, esistono altre possibilità per i materiali naturali grazie alla tecnologia. Al porto di Durazzo in Albania stiamo realizzando una grande vela di marmo di Carrara, con tecnologia di pannelli di honeycomb in alluminio. In questo modo coniughiamo la leggerezza di un materiale ipertecnologico con la bellezza estetica della pietra naturale”.

I due mercati, quello della pietra naturale e quello dei materiali sintetici troveranno una loro collocazione distinta?

“Devono trovarla, a dire la verità come architetto se devo scegliere tra un marmo naturale e un marmo fabbricato, sceglierò sempre il primo oppure se devo usare un gres porcellanato non cercherò la copia delle venature, ma le peculiarità che la sua produzione può dare. Credo, dunque, che questa concorrenza sia solo temporanea e che vi sarà un’evoluzione che riguarda anche i materiali naturali. Non si possono banalizzare i marmi e i graniti con un uso standardizzato ma anche su questo va fatta ricerca”.

Il marmo è destinato a diventare un materiale di nicchia?

Non di nicchia, anche se non se ne deve fare un uso intensivo. Direi un uso ponderato, intelligente e poichè i materiali naturali sono incomparabili per bellezza, grana e tessitura credo che vadano impiegati in modo sapiente. Il mondo della plastica e della scultura danno nuova vita a materiali naturali che vanno utilizzati per la loro massa e forza oppure con nuove tecnologie per trovarne applicazioni che ne valorizzino la bellezza. Non sono aspetti in contraddizione, ma bisogna estremizzare l’uso della pietra per non banalizzarla. Devono essere indirizzati ad un mercato che ne valorizza le peculiarità”.

Cosa spinge un architetto a scegliere la pietra naturale?

“La pietra naturale possiede delle caratteristiche che pochissimi materiali presentano, ad esempio, resiste a compressione. Le potenzialità sono infinite perché dipendono dal comporre, cioè il mettere insieme, che dipende a sua volta dalla bravura dell’architetto. Si possono usare i materiali per le caratteristiche che hanno oppure forzarne l’uso per l’innovazione. Quello che va evitato è la mediocrità di un materiale nobile”.
Ulteriore grande sfida del settore è coniugare lo sviluppo imprenditoriale con la sostenibilità.
“Su questo fronte dovrebbe prevalere il senso della misura. Se utilizziamo il materiale in modo mediocre dobbiamo sopperire alla qualità con la quantità. L’invito agli imprenditori è specializzarsi, essere sempre più trasformatori in loco, altrimenti si lascia grand parte del valore aggiunto a terzi”.

Salone del mobile di Milano, sono ancora poche le imprese del lapideo presenti alla kermesse. Perchè le aziende del comparto dovrebbero partecipare?

“Il Salone è l’evento legato al mondo del design e architettura più importante a livello globale. I visitatori provengono da tutto il mondo per capire in che direzione va il gusto, Milano orienta ogni anno il modo di utilizzare lo spazio e i materiali. È anche vero che il mondo del lapideo è tradizionalmente più legato all’edilizia e all’architettura come edificio che non come interno. Credo che invece dovrebbe esserci maggiore intreccio tra questi elementi. Il Salone del Mobile dimostra che in realtà si può avere una visione più trasversale, umanistica e colta: d’altronde lo stesso architetto è un intellettuale che esprime una sua visione sulla qualità della vita”.

Marco Casamonti si laurea nel 1990 e l’anno successivo vince il concorso per il Dottorato di Progettazione Architettonica presso la Facoltà di Architettura di Genova. Prima della laurea inizia a frequentare diversi studi di architettura tra i quali quello del professor Paolo Portoghesi. Nel 1988, dopo aver collaborato al concorso per il “recupero del carcere delle Murate”, fonda con Laura Andreini e Giovanni Polazzi lo studio Archea, avviando un’intensa attività professionale.

Sono un esempio straordinario di architettura in simbiosi con il paesaggio, con quello antropomorfico delle colline scandite dalle viti nel Chianti, e un tutt’uno con le fasi e i processi della produzione vitivinicola. Parliamo del progetto delle Cantine Antinori, curato da Marco Casamonti di Archea Associati, che illustra il legame con la terra che si esplicita nella mimesi del progetto nel contesto.

Al centro dello spazio di accoglienza dello Studio Archea a Firenze, la scala in acciaio illuminata da un grande lucernario circolare, collega il piano d’ingresso al piano degli uffici.

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